In Italia non esiste una legge che prevede la reclusione per coloro che non pagano i debiti, ma ci sono comunque rischi e conseguenze da tenere in considerazione. In linea generale, non riuscire a restituire un debito non viene visto come un reato, salvo alcuni casi particolari previsti dal nostro ordinamento legislativo.
Quando una persona si trova nell’impossibilità di saldare i propri debiti, il rischio concreto è che i creditori possano rivalersi sui suoi beni, siano essi mobili (come conti correnti o stipendi) o immobili (come case o terreni), salvo che il soggetto non risulti privo di qualsiasi bene (nullatenente).
La normativa, però, stabilisce dei limiti temporali entro i quali un debito può essere legalmente richiesto. Trascorso questo periodo, si parla di prescrizione, ovvero il debito si estingue e il creditore perde il diritto di esigerne il pagamento.
I tempi di prescrizione variano in base alla tipologia del debito:
- 5 anni per rate di mutui, cartelle esattoriali e tributi come il bollo auto;
- 2 anni per le utenze domestiche (es. luce, gas, telefono);
- 10 anni per tutte le altre situazioni che rientrano nella prescrizione ordinaria.
Una volta superato il termine stabilito dalla legge, il creditore non ha più strumenti legali per rivalersi sul debitore. Approfondiamo dunque quali sono le conseguenze per chi non riesce a onorare i propri impegni economici e in quali casi l’inadempienza può configurarsi come reato.
Quali sono i rischi per un nullatenente se non paga i debiti?
Nel caso di debitori definiti nullatenenti, il creditore non ha la possibilità di procedere al pignoramento né di attivare l’esecuzione forzata, poiché mancano beni aggredibili. Di conseguenza, un soggetto privo di beni registrati o di redditi superiori al minimo vitale, che non adempie ai propri obblighi nei confronti dell’Agenzia delle Entrate o di creditori privati, non è passibile né di sanzioni penali né civili, in assenza di dolo.
Ai fini giuridici, si definisce nullatenente chi non possiede immobili, conti correnti sostanziosi, veicoli intestati o entrate regolari come stipendi o pensioni al di sopra della soglia impignorabile prevista per legge. In tali casi, il patrimonio non offre appigli per azioni esecutive.
Va precisato che la condizione di nullatenenza non esclude completamente la presenza di beni: il soggetto può percepire un assegno sociale o essere proprietario di beni di scarso valore economico, che tuttavia non sono suscettibili di pignoramento.
Il creditore conserva comunque la facoltà di monitorare nel tempo eventuali variazioni della situazione patrimoniale del debitore. Se emergono beni o redditi pignorabili in una fase successiva, sarà possibile riattivare la procedura esecutiva.
È importante considerare che i crediti si prescrivono ordinariamente in dieci anni (art. 2946 c.c.), ma la prescrizione può essere interrotta, come stabilisce l’art. 2943 c.c., da atti formali di costituzione in mora o dall’inizio di un procedimento giudiziario o arbitrale, che sospendono il decorso del termine.
Pignoramento dei beni: quando scatta?
Chi non paga i debiti può essere pignorato, a meno che non sia dichiarato nullatenente: il pignoramento è un’azione esecutiva tramite la quale il creditore (pubblico o privato) recupera ciò a cui ha diritto con la vendita forzata e la confisca dei beni del debitore. Sono pignorabili i beni mobili (solo in alcuni casi), e quelli immobili, inclusa la prima casa in specifiche circostanze, e perfino i crediti presso un terzo, ad esempio lo stipendio o la pensione.
Secondo l’art. 492 del Codice Civile il pignoramento è disposto in seguito al rilascio del precetto inviato all’inadempiente, che viene invitato a pagare entro 10 giorni. Trascorso tale termine, il precetto diventa titolo esecutivo.
L’ufficiale giudiziario autorizzato dal giudice, può effettuare accertamenti nei banconi dei dati del pubblico registro, può accedere alle banche dati pubbliche per individuare beni pignorabili, tra cui anche redditi da lavoro o pensione, nei limiti previsti dalla legge (massimo un quinto dell’importo eccedente il minimo vitale).
Mancato pagamento dei debiti: quando si rischia la galera?
In Italia, a differenza di quanto capita negli Stati Uniti o in altri Paesi, non si va in carcere se si è inadempienti nei confronti di un creditore, anche se pubblico, come il Fisco. L’inadempimento di un’obbligazione di natura civile, infatti, non integra alcun reato, ma costituisce un illecito civile che comporta unicamente aspetti di natura patrimoniale.
La situazione cambia quando il debitore agisce con dolo, ad esempio simulando la propria solvibilità per contrarre un’obbligazione che non intende onorare. In tal caso si configura il reato di insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.), punibile con la reclusione fino a due anni o una multa, a querela della parte lesa. Tuttavia, se il debito viene saldato prima della condanna, il reato si estingue.
Per cui, ad esempio, chi non paga la bolletta, la multa o debiti di gioco per difficoltà finanziarie non rischia il carcere. Solo condotte fraudolente o intenzionali possono dare avvio a un procedimento penale.