La pubblica amministrazione italiana è pronta per il salto di qualità? Ci sono i presupposti per mettersi al passo almeno con la media degli altri Paesi europei? Perché siamo così restii alla digitalizzazione, sia privata sia pubblica?

Probabilmente è un problema culturale che viene da lontano, una specie di idiosincrasia alla tecnologia che affonda le proprie radici in una visione della vita tutta informata alla cultura umanistica, alla religione, alla letteratura, che sono letti come aspetti preponderanti della vita. E tendono a fare a meno di quello di cui gli altri non possono più fare a meno da qualche tempo: la digitalizzazione intesa come accessibilità e semplificazione delle procedure, soprattutto nel settore pubblico.

In realtà in Italia la digitalizzazione ha mosso i primi passi nel settore pubblico circa venti anni fa, con lentezza pachidermica, con saltuarietà e approssimazione che si conviene a chi fa le cose, ma non ci crede affatto. Poi, nel 2005, un lampo di luce: il codice dellamministrazione digitale (CAD). Purtroppo, lampo è rimasto, in buona parte.

A oggi, nel 2015 A.D., si tengono convegni, si organizzano incontri, riunioni e assemblee, valutando ciò che è stato fatto e ciò che non è stato fatto. Come, ad esempio, il convegno del 6 marzo scorso, a Varese, organizzato dalla prestigiosa Università degli Studi dell’Insubria. Gianni Penzo Doria, Direttore Generale dell’Ateneo in questione, nel suo intervento ci ha tenuto a precisare che la madre di tutti gli errori è la convinzione di poter dominare con una legge introduzione della tecnologia nella vita quotidiana e nell’agire delle Pubbliche Amministrazioni. Parole sante. Il problema quindi, in questo caso, non sono le leggi, ma semplicemente gli stanziamenti, le dotazioni di fondi adeguati; e, lasciatecelo dire, inadeguata formazione del personale (che tra latro prevede sempre adeguati stanziamenti).

E tuttavia, nel convegno, si è fatto il punto su alcuni aspetti interessanti messi in campo in Italia, come la conservazione digitale dei dati, giunta a un discreto livello; l’identità e la certificazione digitale, come ad esempio la Pec, la posta certificata; il contrassegno generato elettronicamente, il cosiddetto glifo.

Certo, fino a un anno fa la condizione del cosiddetto e-Government in Italia era pressoché deprimente. Solo il 21per cento degli Italiani presentava online dichiarazioni dei redditi, richiedeva documentazioni e servizi dalla previdenza sociale, richiedeva certificati e quantaltro ai Comuni di residenza, e così via. La media UE si attestava al 41per cento.

Obiettivo dichiarato da parte dell’attuale Governo è almeno il raggiungimento della media europea entro il 2017. Ma proprio in questi giorni la percentuale in Italia è destinata a salire, in buona parte per la messa a disposizione online delle dichiarazioni dei redditi precompilati da parte dellAgenzia delle Entrate. Un buon viatico anche per il futuro.

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